Il Fascismo

 

Martedì 24 aprile si è tenuto presso il Centro di Pastorale Universitaria il terzo degli incontri del ciclo “Educazione alla coscienza“, dal titolo “Il Fascismo”, tenuto dal prof. Leonardo Varasano.

Benché il regime fascista e il suo fondatore, Benito Mussolini, siano scomparsi da oltre 70 anni, il discorso pubblico italiano continua avidamente (e, almeno in parte, bizzarramente) a rifarsi e a dibattere attorno alla dicotomia fascismo/antifascismo. Il dato di fatto di questa irriducibile propensione divisiva, facilmente verificabile soprattutto a ridosso di appuntamenti elettorali, dovrebbe spogliarsi di qualunquismi e luoghi comuni – che riducono il dibattito sul regime mussoliniano a mera ricostruzione oleografica, buona solo per la polemica politica – per portare a ragionare dei caratteri costitutivi del regime e dei suoi rapporti con l’Uomo in quanto persona creata a immagine di Dio.

Il fascismo, che secondo la convincente definizione di Juan Linz fu un regime autoritario di mobilitazione e non un vero e proprio totalitarismo, ebbe più fasi e più volti. Fu movimento nella fase nascente, fu incline alla costituzionalizzazione fino al 1924, fu regime vero e proprio dall’omicidio Matteotti in poi, fu regime suffragato da ampio consenso fino alla guerra d’Etiopia, fu regime ampiamente condizionato dall’alleanza con il nazionalsocialismo tedesco dal 1938 al 1945.

Il fascismo non fu un monolite e soprattutto, come avverte Renzo De Felice nella celebre Intervista sul fascismo, fu un’esperienza storica conclusa, definitiva e irrepetibile: «anche se ci fosse un altro fascismo», avvertiva lo storico reatino, «sarebbe tutt’altra cosa». Il che dovrebbe essere sufficiente, nell’ottica defeliciana, per rassicurare sulla impossibilità di un ritorno del fascismo mussoliniano tout court.

Improntato ad un forte spirito di adattamento e ad un certo cinismo – basta rifarsi alla significativa definizione di “fascismo” che diede lo stesso Mussolini dalle colonne del Popolo d’Italia all’esordio del movimento – il regime ebbe il suo fondamento ideologico non sul concetto di “razza” (anche se poi nel 1938 varò le vergognose leggi antiebraiche di cui quest’anno ricorrono gli 80 anni dalla promulgazione), ma sul concetto di “Stato”. Un concetto penetrante e pervasivo, teso alla fagocitazione e quasi all’assorbimento della persona umana. Un concetto che, non a caso, portò anche ad una fase di scontro tra il fascismo e la Chiesa cattolica, con la quale erano già stati conclusi i Patti lateranensi. E qui, nell’ambito del rapporto Stato-persona, emerge una riflessione particolarmente importante nell’ottica di una educazione alla coscienza.

Alla luce di questi rapidi spunti, pare utile tornare a riflettere sul fascismo, sulla sua multiforme eredità (ivi compreso il cosiddetto «fascismo di pietra», l’insieme delle opere urbanistiche e architettoniche su cui si è soffermato, fra gli altri, Emilio Gentile); sui pericoli, che possono ancora esistere, di un’ideologia tesa a fare dell’uomo un ingranaggio dello Stato; sui pericoli, viceversa, che secondo l’attenta chiave di lettura defeliciana non hanno più ragione di esistere, in merito alla possibilità di un ritorno del fascismo così come si è manifestato in Italia tra il 1922 e il 1945.