L’ultimo con gli ultimi…si può fare

Milano (29.12.17- 01.01.18)

“GRANDE NORD” 

è la scritta su un muro di una delle entrate del capoluogo lombardo che mi si staglia di fronte accompagnando il mio ingresso in città.  Per una sudista come me, un’accoglienza così reggerebbe gioco facile a qualche stereotipo sul meneghino. Quello che invece voglio raccontarvi non ha niente a che fare con i luoghi comuni, ma su tutto quello che di nuovo ho scoperto, sollevando il velo di Maya, in un’esperienza di servizio che mi ha segnato piacevolmente: “Ultimo con gli ultimi”…un capodanno a Milano, con i senza tetto.

Il centro “Sant’Antonio” è una piccola, dice Fra Carlo, mensa dei frati minori che nel centro di Milano distribuisce, ogni giorno, circa 100 pasti a persone in difficoltà. E’ solo una delle diverse realtà solidali e operose distribuite sul territorio. Uomini e donne di varia età, stranieri e italiani, con e senza fissa dimora,  si ritrovano a sedere ai tavoli di un  salone accogliente e colorato per poter mangiare…e non solo.

Siamo un piccolo gruppo perugino in trasferta e ci caliamo per una giornata nella routine del servizio seguendo le istruzioni dei volontari abituali e rodati. Sono sorpresa: ci sono una quindicina di persone oltre noi,  oltre ai frati e alle suore, di tutte le età, giovani e diversamente giovani, studenti, lavoratori e professionisti, madri e padri di famiglia. Uomini e donne di buona volontà che hanno scelto per uno o più giorni la settimana di dedicare tempo ed energie a questa causa. Si prepara da mangiare, si apparecchia, si lucidano le mele che faranno da segnaposto,  si caricano cassette di derrate alimentari e prodotti per l’igiene personale da distribuire a fine pasto. E’ un fiume umano quello che arriva a mezzogiorno ed è un’umanità che non conosco e da cui forse sono spaventata. Ha un odore un po’ acre, l’espressione vissuta e lo stile stravagante di chi si porta dietro la strada, che è la sua casa. 

E’ un sabato di fine anno, con cappellini rossi e una chitarra in mano si improvvisano i motivi di natale. Tra il canto, le risate, il battito delle mani, crollano naturalmente le distanze, gli sguardi si incrociano e si riconoscono solo come fratelli che condividono un momento di festa. 

L’organizzazione è precisa, una vera catena di montaggio: servono le regole per portare avanti una baracca di questo tipo, soprattutto di fronte a chi per campare ha dovuto fare della “hybris” un’arma di sopravvivenza. Ma qui non vale la legge del più forte, c’è un’attenzione al singolo, che ormai è un viso e un nome conosciuto. Il pasto è servito ad uno ad uno, i prodotti da portare via sono consegnati alla lunga fila indiana che si forma davanti all’uscita da voci che ripetono con una dolcezza cadenzata e sempre nuova che mi risuona ancora nelle orecchie: La vuoi la pasta? L’insalata? Prendi pure del torrone. Buon anno!

Altre braccia sparecchiano, lavano i piatti, puliscono rimettendo tutto in ordine per il giorno dopo. Quell’olio di gomito non è mai stato così leggero, mi sento riempita di una Gioia che sorride muta e grata.  Altri di noi nella stessa giornata hanno fatto invece esperienza di un servizio presso un’ associazione che si occupa di assistenza agli anziani. Hanno portato loro il cibo a casa, si sono intrattenuti a parlare. 

Quando torniamo alla base, c’è una strana bellezza in quello che ci ha attraversati. Ma è solo l’inizio. La sera di San Silvestro presso la casa delle Suore di Gesù Bambino che ci ospitano organizziamo il cenone con un gruppo  delle persone che abbiamo incontrato alla mensa. Mangiamo insieme allo stesso tavolo, balliamo, facciamo gare di karaoke, possiamo chiacchierare. Cadono le barriere e qualcuno si racconta. Si mischiano storie  di errori, di disagio, di malattia, di scelte sbagliate, di drammatiche fatalità eppure di straordinaria resilienza.  Qualcuno è in imbarazzo per il solo sentirsi guardato, accolto. Preghiamo ringraziando il Cielo per un Pastore che provvede a ciascuna delle sue pecorelle perché nessuna vada perduta e poi accogliamo insieme nell’atmosfera goliardica il nuovo anno. I fuochi d’artificio visti dal tetto disegnano sul cielo  di Milano una tavolozza scoppiettante che accoglie insieme, sotto un unico manto, i nostri desideri e le nostre speranze per il nuovo anno.

Quando gli ospiti se ne vanno, con le loro cravatte colorate indossate per l’occasione su abiti comuni,  faccio fatica a pensare che chi mi stava seduto accanto e ha brindato ridendo con me nei primi attimi del 2018 andrà a dormire al gelo da qualche parte in centro, attrezzato alla meglio, tra i botti, i festeggiamenti, le ubriachezze. E la pioggia.

Scopro, senza averci mai fatto caso, che il punto non è solo dare da mangiare a chi non ne ha e assicurare un minimo guardaroba per coprirsi o una doccia calda, che pure fanno sostanzialmente la differenza. L’impresa più ardua è nutrire lo spirito, ricostruire la dignità del vivere, rilanciare esistenze che sembrerebbero scartate e vane, strappare da dentro la convinzione di essere “pecore nere”, treni deragliati senza possibilità di redenzione. Nasce da qui, pensata per loro, l’esperienza di un orto da coltivare, nel centro di Milano, per riassaporare il senso fruttifero del lavoro, dell’attesa, della condivisione.  Nascono da questa consapevolezza le attività del Centro Sant’Antonio come i laboratori d’arte, gli spazi per l’ascolto, le gite organizzate, in cui si cerca di coinvolgere e stimolare oltre i muri della diffidenza e dell’introversione la voglia di rinascita, il senso del perdono, il coltivarsi delle relazioni, la ripresa del contatto con se stessi e con le proprie istanze emotive.  In una parola sola, il servizio è un prendersi cura dell’altro, persona.

E un’altra storia di mirabile riscatto è quella dei Gatti di Milano…che “non toccano mai terra” dice il detto. Un gruppo di senza fissa dimora provenienti da un altro centro di accoglienza della città a un certo punto si è organizzato per accogliere e accompagnare in giro per Milano gruppi di turisti,  essendosi informato e sfruttando le conoscenze pregresse e quelle accumulate negli anni sulla città, la storia e gli aneddoti dei suoi vicoli e dei suoi quartieri. Abbiamo incontrato “I Gatti Spiazzati”, che hanno redatto addirittura una guida turistica, e in una delle loro “camminate conviviali” ci hanno condotto per le strade, i monumenti e le chiese del centro istruendoci con un taglio verace e per niente scontato nell’ arte e nelle curiosità locali.

Ho imparato che la grande e bella Milano, capitale della finanza e della moda,   regina del passo svelto, della ricchezza sfoggiata e dell’ efficienza dei servizi, cattura con i suoi palazzi svettanti, le strade dall’assetto europeo, le strutture ultramoderne e luccicanti. Giusto un po’ più a terra, tra i cartoni, grandi e spesso invisibili sacche di disagio e povertà aspettano uno sguardo in più.  Alla stessa sfilata,  lavora dietro le quinte una silenziosa e attivissima rete di solidarietà, sempre assetata di nuovi operai. 

Ma non succede solo a Milano.

Passeggiando nell’avveniristica piazza Gae Aulenti ci si imbatte in una costruzione originale con delle trombe comunicanti. 

 A terra si legge:“Questi tubi collegano tra loro vari luoghi e spazi dell’edificio. Quest’opera è dedicata a chi passando di qui penserà alle voci  e ai suoni della città”. 

Sulla strada del ritorno, ricca di un’esperienza che ha gettato luce nuova su un mondo a me sconosciuto e sollecitato corde di sensibilità personale,  quelle parole mi sono sembrate proprio un invito a calarsi in questo circuito di vibrazioni,  a mettersi in ascolto della città,  ciascuno di quella in cui vive ed opera. E a porgere l’orecchio anche a quei suoni più flebili, a dare voce anche a quelle interferenze presenti (e forse disturbanti) degli ultimi, dei più piccoli, nella fanfara della vita. Come esortava Don Milani,  colgo un appello ad essere gioventù che vibra di dolore e di fede pensando all’ingiustizia sociale.

 Lorenza Moscara